L’Io pelle
Sento dunque sono

Foto dal film “Love” di Gaspar Noé

La pelle è un insieme complesso di organi di senso che ci permette di sentire gli oggetti esterni e di
sperimentare la nostra internità.
La prima sensazione dell’Io è epidermica e la prima esperienza è sensoriale.
Sono le primissime sensazioni cutanee che introducono, fin dalla nascita, i bambini appena nati in
un mondo di grande ricchezza e complessità che garantisce l’esistenza. Esse sono propedeutiche alla formazione di uno spazio psichico.

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Dipendenza da Phon
Ritornare nella pancia della mamma

Le testimonianze sottolineano l’effetto benefico di questa pratica, indicando la diminuzione dello stress e l’ aumento della capacità di concentrazione e di sonno

Di corsa. Siamo sempre di corsa.

Nella quotidianità sentiamo la pressione di incastrare alla perfezione i nostri impegni  lavorativi, familiari, il tempo per lo sport, lo svago… come fossimo in una delle nostre migliori partite di Tetris. Viviamo in un mondo che ci richiede di essere multitasking, un mondo in cui l’unica parola d’ordine è “correre”.

Mangiamo di fretta, dormiamo poco, ci spostiamo frequentemente da un posto a un altro della città litigando con il traffico.. e tutto il giorno sentiamo il telefono che squilla.. chiamate, messaggi…Corriamo, corriamo per poi affannarci.

Spesso riusciamo a fermarci solo con un’influenza, un mal di testa, un dolore muscolare o alle ossa, un bruciore di stomaco…. Il nostro corpo ci parla e sa cosa dirci: reagisce allo stress e alle emozioni non pensate attraverso quei dolori fisici, quei segnali che ci permettono di fermarci. Certamente è fondamentale imparare a decodificare le emozioni alla base dei nostri dolori per ridurre il livello di stress correlato alle malsane abitudini giornaliere e ritagliarsi del tempo per la cura di se stessi, concedendosi di seguire una nuova parola d’ordine: “relax”. Rilassarsi è diventato un bisogno condiviso, che dobbiamo imparare ad assecondare, accantonando il senso di colpa culturale legato al “dover fare”.

Consapevolmente o meno, a livello difensivo elaboriamo delle personali strategie per abbassare il livello di stress e diminuire il nostro rumore della vita quotidiana.

Un fenomeno che si muove in questa direzione, inserendosi in un quadro di frenesia sociale, è l’aumento dell’utilizzo del phon allo scopo alternativo di rilassarsi. Non è raro sentir parlare di questa specifica pratica diffusa soprattutto fra i giovani. Il piccolo elettrodomestico non viene più impiegato esclusivamente per asciugare, ma anche per godere dell’effetto benefico della congiunzione fra rumore e calore.

Si sente l’impulso di accedere il phon mossi, in primis, proprio dal bisogno di rinchiudersi in un mondo ovattato in cui potersi rilassare. Le testimonianze sottolineano l’effetto benefico di questa pratica, indicando la diminuzione dello stress e l’ aumento della capacità di concentrazione e di sonno.  Le proprietà soporifere e rigeneratrici vengono spesso scoperte dai genitori alle prese con piccole resistenze nel momento della nanna dei neonati.

Il phon rilassa, isola, protegge, coccola, aiuta a pensare, a studiare, a dormire..

La magia del phon è data dalla unione del suo rumore con il calore sulla pelle, due sensazioni che rievocano dei bisogni soddisfatti nella vita intrauterina.

Nella placenta, dove la nostra realtà sonora è ovattata e filtrata, percepiamo un rumore simile al rumore del phon. Si definisce rumore bianco (o white noise) essendo un suono composto dalla totalità delle frequenze udibili, per lo stesso principio in cui la luce bianca rappresenta  l’insieme di tutti i colori visibili. Oltre al phon e altri elettrodomestici come l’aspirapolvere e la cappa della cucina, la proprietà dei rumori bianchi appartiene anche elementi naturali come la pioggia, lo scorrere di un ruscello, l’infrangersi del mare sugli scogli… che contribuiscono a mascherare altri suoni fastidiosi dell’ambiente. La costante ripetizione delle frequenze, tipica dei rumori bianchi, facilita il raggiungimento di una sensazione simile ad un’estasi dove la psiche automaticamente allontana i pensieri complessi e si abbandona.

Anche la ricerca di calore ci parla di un bisogno soddisfatto nella vita prenatale. Il feto sperimenta sensazioni di calore nel prolungato ed ampio contatto con la madre, nell’esperienza di un corpo avvolto, contenuto, protetto e al tempo stesso fuso con il suo ed il mondo intorno. Le teorie dell’attaccamento sottolineano a riguardo l’importanza del calore materno.

In chiave psicodinamica, è plausibile rileggere l’utilizzo frequente della pratica alternativa del phon come un bisogno di regressione ad uno stadio di pre-nascita in cui l’uno è il tutto e la fusione la chiave di lettura del tutto. Regredendo ad uno stadio indifferenziato, l’individuo entra in contatto con un senso di protezione e sicurezza che permette di rilassarsi e parla anche di un bisogno di accudimento e di dipendenza dalla figura materna. Quei bisogni devono essere soddisfatti nel qui ed ora, laddove non lo sono stati a pieno nel lì e allora.

Con tali premesse, non è complesso immaginare come la pratica alternativa del phon possa evolversi nello strutturarsi di una dipendenza associabile al grande calderone delle new addiction, come il tempo in sua compagnia possa aumentare in maniera esponenziale e interferire in modo significativo con le normali abitudini della vita quotidiana. I bisogni di calore e di rumore diventano tanto forti da istaurare il classico meccanismo di coazione a ripetere per soddisfarli; spegnere il phon e privarsene diventa a mano a mano sempre più difficile perché si allontana la possibilità di soddisfare i propri bisogni senza la sostanza-elettrodomestico.

Non mancano i pericoli materiali legati ad un utilizzo spropositato del  phon: oltre all’aumento dei consumi elettrici che registra una ricaduta economica sul bilancio familiare, si rischia che un utilizzo eccessivo provochi ustioni o vescicole sulla pelle e che, qualora fosse anche incontrollato, generi la possibilità di incendi.

Questa nuova pratica può essere nata come un tentativo, collettivamente condiviso, di rilassarsi in un mondo ricco di frenesie. La tendenza alla cronicizzazione, all’instaurarsi di un meccanismo di dipendenza racconta, invece, la necessità del singolo di sopperire a delle mancanze, a dei bisogni non soddisfatti, la necessità di rifugiarsi in un mondo intrauterino dove le responsabilità non esistono e la realtà è ovattata. Dietro alla scelta di iniziare a praticare un comportamento così bizzarro come la pratica alternativa del phon,  può nascondersi un significato profondo che, laddove si volesse approfondire, aprirebbe ampi mondi di esplorazione sul sé e sulle proprie relazioni oggettuali.

Dott.ssa Emanuela Gamba

Psicologa, Psicoterapeuta ed esperta in Psico-oncologia

Riceve a Roma su appuntamento

mail. emanuela.gamba@emanuelagamba – tel. (+39) 340/0029520

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Chiedilo a Kurt Cobain. Approccio psicoanalitico al suicidio

“Il segreto è che ha realmente vita solo ciò che può anche sopprimersi da sé”. (cit. C. G. Jung)

Kurt Cobain muore ucciso da un colpo di fucile autoinflitto nel 1994. Il protagonista della scena grunge odiava le armi da fuoco. Aveva la fobia per gli aghi ed era eroinomane.

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La profezia che si autoavvera
Il potere delle aspettative sulla realtà

<<Pigmalione aveva rinunciato a sposarsi e passava la sua vita da celibe, dormendo da solo nel suo letto. Grazie però alla felice ispirazione dettatagli dal suo talento artistico, scolpì in candido avorio una figura femminile di bellezza superiore a quella di qualsiasi donna vivente e si innamorò della sua opera. Questa aveva l’aspetto di una fanciulla vera, tanto che la si sarebbe creduta viva e desiderosa di muoversi, se non l’avesse impacciata il pudore. L’arte era tanto grande da non apparire addirittura. Pigmalione stesso è preso dall’immagine di quel corpo e contemplandolo concepisce una passione ardente. (…) E viene il giorno della festa di Venere (…) anche Pigmalione porta il suo dono agli altari, davanti a cui si ferma sussurrando timidamente: “O dèi, se è vero che voi potete concedere tutto, io ho un desiderio: vorrei che fosse mia sposa…”. L’aurea Venere, che è presente in persona alla sua festa, percepisce il significato reale di questa supplica ed ecco che la fiamma, interprete della benevolenza della dea, tre volte si riaccende e guizza verso l’alto. Pigmalione, non appena torna a casa, si reca dalla statua della sua fanciulla e sdraiandosi sul letto accanto a lei, prende a baciarla: gli sembra di incontrare qualcosa di tiepido. Di nuovo accosta la bocca e le tocca il petto con le mani: al tocco l’avorio si ammorbidisce, deponendo la sua rigidità. (…) Il giovane resta attonito, quasi si lascia andare alla gioia ma teme di ingannarsi: pieno d’amore torna a toccare più e più volte l’oggetto dei suoi desideri: è proprio un corpo vivo! Le vene pulsano sotto la pressione del pollice. Allora sì che trabocca di gratitudine e cerca le parole per esprimerla a Venere! Finalmente preme le sue labbra su una bocca vera e dà dei baci che la fanciulla sente: arrossendo ella leva timidamente verso di lui lo sguardo e ai suoi occhi appare contemporaneamente la visione del cielo e quella dell’uomo che l’ama>> (Dalle “Metamorfosi” di Ovidio)

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Paura D’Amare
La fuga dalle relazioni d’amore

Niente è più importante dell’amore- Ferzan Ozpetek

Sogniamo infinitamente di amare e di essere amati in amori fragili, amori indistruttibili, amori devastanti, amori appaganti… Amando mostriamo i nostri limiti, mettiamo in scena le nostre paure, abbassiamo le difese ed il controllo sulla nostra vita. Viviamo un’ esperienza soggettiva intensa e totalizzante che ci fa sentire “nudi” di fronte all’altro, ma che ci permette di assaporare il piacere nell’affidarsi senza sentirsi vulnerabili e conoscere quella dipendenza sana dell’amore ( si rimanda all’articolo La dipendenza- Vuoti di vita da colmare).

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Psicodinamica degli Amori Impossibili
Relazioni di coppia tra realtà e immaginario

“Gli amori impossibili non finiscono mai, sono quelli che durano per sempre

(dal film Mine Vaganti di Ferzan Ozpetek)

Gli amori impossibili sono amori rari, imperfetti, tormentati, struggenti, passionali, folli.

Sono amori indimenticabili fatti di sentimenti ambivalenti; crescono e diventano colmanti in un alternarsi di scariche di adrenalina e sofferenze. Anche chi non li ha vissuti, conosce i sentimenti che accompagnano l’esperienza di un amore impossibile: sa riconoscere l’ingiustizia come conseguenza di una scelta altrui (dell’amante o del contesto), identificarsi nella sofferenza di non poter vivere un sentimento forte e devastante e sperimentare l’illusione  di “ciò che poteva essere, ma non è stato”. In un amore impossibile possiamo sentirci vivi come mai prima e contemporaneamente fare i conti con una sempre lontana felicità,  sperimentando la sofferenza dell’irraggiungibilità di un amore sicuro (per maggiori approfondimenti si rimanda all’ articolo Reazioni patologiche e Doppi Legami – “Di relazioni ci si ammala, di relazione si guarisce”).

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Disturbo da Accumulo. Quando conservare diventa una malattia

Che differenza c’è tra una foto che ci ritrae in braccio ai nostri genitori quando avevamo un anno di età e una scatola di biscotti vuota? La maggior parte delle persone risponderebbe che la prima ha un valore affettivo e che quindi non se ne separerebbe mai, mentre la seconda è solo qualcosa da buttare. Per una persona affetta da disturbo da accumulo (DA) tutti gli oggetti hanno una loro ragione d’essere: perciò alla precedente domanda, l’accumulatore (hoarder) riuscirebbe a capire di certo la differenza affettiva tra la foto e la scatola, ma non si priverebbe di quest’ultima, trovandole un’altra utilità o conservandola su di uno scaffale. I pazienti con DA hanno con gli oggetti un rapporto non molto diverso da quello che ha la maggior parte delle persone: tutti siamo affezionati ai nostri ricordi e conserviamo oggetti senza valore intrinseco se non il significato psicologico e affettivo che gli diamo noi; così come spesso capita che la maggior parte di noi occupino inutilmente spazio dentro casa o in cantina con oggetti che non ci servono, ma che un giorno potrebbero tornarci nuovamente utili. Il problema è che i pazienti con DA hanno questo rapporto di forte legame affettivo con un numero esagerato di oggetti e vedono in ognuno di essi “opportunità future”, per cui diviene impossibile separarsene. Allo stesso tempo per gli accumulatori gli oggetti sembrano essere “pezzi di sé”, una parte integrante della propria identità e uno strumento per mantenere un legame con parti della propria vita e con il passato, per coltivare la memoria e continuità del sé.

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