Autore: Dario Maggipinto

La paura del cambiamento. La spinta vitale dell’instabilità

Nell’arco di una vita, ognuno di noi può essere oggetto di mille cambiamenti, lo stesso Erickson definì il ciclo di vita suddividendolo in 8 fasi, ed il passaggio allo stadio successivo avviene ogni volta che l’individuo, nell’interazione con la realtà esterna, riesce a superare una “crisi evolutiva” e attraverso questi stadi di sviluppo realizzare l’integrità dell’Io.

Un cambiamento porta con Sè una sensazione di profonda instabilità, poiché la persona che deve affrontare il cambiamento, accettandolo e dunque crescendo in riferimento ad esso, integrandone le esperienze derivanti, deve anche essere pronto a rinunciare ad una parte di Sè già esplorata, sicura, magari disfunzionale e immatura, ma pur sempre sicura.

Continua a leggere

Il mito dell’amazzone. Il femminile nel vissuto oncologico

Il nome greco Ἀμαζών (amazòn) si compone di una Ἀ iniziale un’alfa privativa che rende nullo il successivo nome μαζός, versione ionica di μαστός, che vuol dire “seno”: il risultato sarebbe quindi “senza seno”. L’etimologia è riferibile al costume tradizionale attestato dalle fonti mitografiche secondo cui le Amazzoni si mutilavano la mammella destra allo scopo di tendere meglio l’arco. Facendo una rapida ricerca su internet è evidente come molte donne operate al seno a causa di un carcinoma alla mammella si identificano nella figura delle Amazzoni, ossia come eroine pronte a combattere per la propria vita. La figura delle amazzoni però mette in luce una delle problematiche verso cui queste donne si devono interfacciare, ossia la propria sessualità e identità sessuale: talvolta, per scopi preventivi, le donne con carcinoma alla mammella subiscono oltre all’operazione al seno o la mastectomia, anche l’asportazione delle ovaie. L’insieme di queste operazione corporee hanno un impatto devastante anche sul mentale (per un approfondimento, si rimanda agli articoli “Oncologia e sessualità femminile – Scoperchiare il vaso di Pandora” e “La malattia oncologica – Il male senza nome”  e “Donne e cancro – In guerra con se stesse” ). L’amputazione di parti si Sé tipicamente femminili può portare queste donne ad identificarsi inconsciamente con assetti da combattenti, nella consapevolezza di stare combattendo una lotta contro un nemico mortale, il cancro. Si struttura, dunque, un’emancipazione di queste donne verso aspetti della propria vita precedentemente trascurati. Molte volte sono loro stesse che riferiscono come affrontare il tumore sia stato terribile, ma allo stesso tempo sia stata l’incipit per iniziare a lottare, e riappropriarsi della propria vita, non solo della propria salute.

Continua a leggere

Il ritiro psicologico. Fondersi con le proprie fantasie

Sono passate ormai 2 ore di lezione, con il professore più noioso dell’istituto scolastico, che in maniera monotona e senza inflessioni vocali o emotive continua a spiegarvi un trattato di una delle materie da voi più odiate. Il vostro livello di sopportazione ormai è a limite, ma sapete che vi attendono ancora altre 2 ore di lezione, obbligatoriamente. Vorreste fuggire dalla classe, ma non c’è via di fuga. Ed eccola lì la soluzione: iniziate a immaginare di trovarvi altrove, in un altro posto, magari di fantasia e in una trama avvincente creata da voi e dove, magari, voi siete gli eroi, e subito, magicamente, la tensione cala e quelle 2 ore interminabili riescono, quasi, a concludersi velocemente.

Vi trovate in una nuova città, magari per motivi lavorativi, da soli, senza nessuno che vi conosce. Per molto tempo fate fatica a fare amicizia con qualcuno e, pian piano, vi sentite angosciati, depressi, per questo forte senso di solitudine nel ritornare nella vostra casa, senza qualcuno ad accogliervi. Decidete allora di accendere la tv o leggere un buon libro o addirittura guardare oltre la finestra e pensare a quella persona incontrata sul bus, al cosa sarebbe successo se…, e via a fantasticare.

Continua a leggere

La personalità masochista. Una vita di lamenti

È ormai credenza comune associare il masochista a quel tipo di persona che va alla ricerca di una sofferenza per godere, connotandosi prevalentemente di un aspetto sessuale o del desiderio erotico. In realtà, se facciamo riferimento agli aspetti masochistici presenti in ognuno di noi o alla personalità masochistica, possiamo interfacciarci con un funzionamento del tutto differente, preferendo il termine auto frustrante. Ci sarà capitato almeno una volta nella vita di parlare con qualche amico o qualche conoscente, e sentirci inondati da tutti i suoi problemi. Talvolta problematiche come insoddisfazioni coniugali, lavorative o amicali ci vengono presentate come sofferenze insormontabili e senza soluzioni, ed eccoci, dunque, ad ascoltarli per ore e ore lamentarsi del proprio collega o datore di lavoro, attivandoci in noi l’esigenza di “risolvere il problema al posto loro”. “Prova a fare in questo modo; Contatta i sindacati; ecc”, sono tutti consigli che irrimediabilmente cadranno in un “eh, magari, ma non è possibile perché…”. Stiamo certi che con queste tipologie di persone, se le rincontrassimo dopo qualche mese, starebbero lì a tediarci con una lamentala infinita su problematiche coniugali o di altro genere. Le persone autofrustranti hanno necessità di collocarsi in una posizione costante di “vittima” e solo mediante la sofferenza possono far tacere un loro senso di colpa inconscio costante. Il messaggio che lanciano all’esterno è “sono una povera vittima, la colpa è fuori di me”. La differenza sostanziale tra una personalità depressa ed una masochistica è proprio legata alla posizione della colpa: nel depresso la colpa è collocata dentro di Sé “ Al lavoro mi trattano male perché non valgo nulla, è colpa mia”, mentre nella personalità masochista la colpa è collocata all’esterno “al lavoro mi trattano male, sono una vittima, è colpa loro”.

Continua a leggere

Psicologia in Musica. Costruire di Niccolò Fabi

“Costruire” di Niccolò Fabi è divenuta fin da subito una di quelle canzoni che, in maniera lampante, ti guida nel migliore percorso da poter fare nella vita. Proprio per la sua semplicità, per niente banale, il brano e le parole del cantante entrano immediatamente in risonanza con i vissuti emotivi di qualsiasi ascoltatore, trattando, per l’appunto, una tematica universale: la vita.

Niccolò apre la canzone invitando l’ascoltatore ad una regressione, portandolo in una sua visualizzazione guidata: “Chiudi gli occhi ed immagina una gioia”. L’inizio stesso della canzone, dunque, lancia un messaggio ben preciso: questa canzone parla di te, chiunque tu sia, e della tua vita, dei tuoi vissuti emotivi e delle tue gioie.  Il cantante prosegue suggerendo all’ascoltatore una delle gioie più “archetipiche” dell’essere umano: la partenza, intesa però non come distacco o separazione, ma piuttosto come una rinascita o l’inizio di un proprio percorso interiore (Per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo: “Il Viaggio – Sul bisogno di occhi nuovi“).

Continua a leggere

Il vissuto dell’anziano
Dimenticati nel tempo

Negli ultimi decenni si è assistito a numerose conquiste scientifiche e progressi della medicina che hanno contribuito ad allungare la durata media della vita umana. L’allungamento della durata media della vita, da un lato, e il calo a volte drammatico della natalità, dall’altro, hanno originato una transizione demografica senza precedenti, che vede letteralmente rovesciata la piramide dell’età quale essa si presentava non più di cinquant’anni fa: in crescita costante il numero degli anziani, in costante calo quello dei giovani. L’immagine che la società ha della terza età è caratterizzata da un progressivo declino in cui l’insufficienza umana e sociale è data per scontata. Tale stereotipo impedisce, però, di avere una visione diversificata dell’anziano, poiché gli anziani non sono un unico gruppo umano omogeneo, ma bensì persone con diversi modi e stili di vivere la propria vita (per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo “l’invecchiamento – il tempo che passa“).

Continua a leggere

La personalità isterica
Ossessionati dall’apparire

Almeno una volta nella vita avremo sentito darci degli isterici da qualcuno, alludendo ad una situazione di forte nervosismo e stress. (per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo L’isteria – Psicopatologia dei sessi ). Nel contesto clinico, però, la personalità isterica si discosta molto dalla visione comune di “persona fuori dalle righe”, in quanto la sua “patologia” nasce dalla sua urgente esigenza di adeguarsi al contesto sociale, per apparire accettabile e ligia al bon ton: per capirci, un classico esempio di personalità isterica è Bree Van De Kamp, della nota serie televisiva “Desperate Housewives”. I sintomi che possiamo ritrovare nelle personalità isteriche sono prettamente di natura psicosomatica e si caratterizzano con manifestazioni psicomotorie, sensoriali o vegetative, senza una causa organica, mediante una conversione dallo psichico al soma. Il contenuto manifesto dell’isteria è una esagerazione patologica di certi modi normali d’espressione e tutti i sintomi e i disturbi sono manifestazioni non verbali dell’emozione non espressa. La personalità isterica  parla il linguaggio del corpo e vive le metafore, concretizzandole, piuttosto che usarle nel linguaggio (Es. Non voler vedere aspetti traumatici della propria vita che si ripresentano nella quotidianità viene convertito in una cecità isterica).

Continua a leggere

Il tradimento nella coppia. Cosa ti spinge nelle mani dell’altro?

A chiunque, nella propria vita, sarà capitato almeno una volta di sentirsi traditi, da amici, partner, genitori, colleghi di lavoro, dal proprio corpo o dalla propria vita. La sensazione di sentirsi traditi ci priva, in malo modo, della ovattata sensazione si sentirsi al sicuro, almeno in quel contesto, grazie alla profonda sensazione di fiducia che lega se stessi “all’altro”.

Continua a leggere

La rabbia
A difesa dell’amore verso se stessi

dipinto di Beniamino Giannini

Fronte e sopracciglia violentemente aggrottate, denti digrignati, rosso in viso, muscoli irrigiditi e paura di perdere il controllo. Ad ognuno di noi sarà capitato nella vita di riconoscersi in questa descrizione. Ad ognuno di noi sarà capitato almeno una volta nella vita di essere adirati o, nel gergo comune, arrabbiati. Ma cos’è la rabbia? La rabbia è una emozione tipica, funzionale e  primitiva; essa può essere, infatti, osservata sia in bambini molto piccoli che in specie animali diverse dell’uomo. Nasce dalla frustrazione o dalla costrizione, ossia quando un oggetto esterno ci impedisce di soddisfare un nostro bisogno. Verso tale oggetto può generarsi dunque un’intenzione ad aggredirlo, allo scopo di raggiungere il soddisfacimento del proprio bisogno. Spiegato in questi termini, sicuramente il lettore avrà immaginato un animale, un uomo primitivo o un bambino che si sferra aggressivamente verso il proprio “nemico” che gli impedisce di divorare la propria preda, oppure di divertirsi con il proprio giocattolo. Ma in un ottica più matura, la rabbia diviene funzionale anche per tutelare i propri bisogni emotivi e identitari. Ci si difende dai soprusi subiti o dai tentativi del prossimo di invaderci o “approfittarsi di noi”. Diviene quella carica emotiva che permette a se stessi di creare dei limiti, dei confini tra l’Io e l’esterno e di difendersi qualora un agente esterno invadesse tali confini.

Continua a leggere

Il falso Sé. Modellati nell’ambizione

Ognuno di noi, nel suo percorso di crescita, si è interfacciato per la prima volta in un contesto sociale diverso da quello dei propri genitori, sperimentando per la prima volta le proprie capacità relazionali all’asilo, con persone sconosciute, sino al districarsi in maniera più o meno abile nelle tante pretese sociali lavorative all’italiana. Nella scoperta di un mondo esterno che possiede valori a volte diversi da quelli famigliari, l’individuo costituisce una propria identità sociale che si fonde con l’identità personale. La creazione dell’identità rappresenta, allora, la piena consapevolezza di chi si è, delle proprie origini, dei propri stati emotivi e dei propri pensieri. Sempre più spesso, però, è comune riscontrare in molte persone, in parte anche dentro di noi, una netta scissione tra un’identità che si mostra, che si ama, a cui si crede di appartenere e una parte di sé che si reprime e che soffre, terrorizzata al sol pensiero di mostrarsi (per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo “l’insicurezza patologica – Ciò che non amo di me“). Si crea un falso sé, ossia un sé ideale a cui l’individuo ambisce, mettendo in pratica un processo di cambiamento dentro di sé rispetto alle proprie ideologie e comportamenti, col solo intento di convincersi di essere diventato il sé tanto ammirato: si crea, dunque, un’armatura (il falso Sé) che potrà proteggere il sé reale, percepito debole e inefficace in una determinata società.

Continua a leggere

Contattaci

Newsletter


Seguici


I contenuti presenti sul blog "ilsigarodifreud.com" dei quali sono autori i proprietari del sito non possono essere copiati,riprodotti,pubblicati o redistribuiti perché appartenenti agli autori stessi.  E’ vietata la copia e la riproduzione dei contenuti in qualsiasi modo o forma.  E’ vietata la pubblicazione e la redistribuzione dei contenuti non autorizzata espressamente dagli autori.


Copyright © 2010 - 2022 ilsigarodifreud.it by Giulia Radi. All rights reserved - Privacy Policy - Design by Cali Agency