Mese: Giugno 2015

L’attacco di panico. Quei sani sabotatori interni

Tutti noi abbiamo almeno una volta sentito parlare del “celebre” attacco di panico, molti di noi conoscono persone che ne hanno avuto uno, altri lo hanno sperimentato in prima persona, altri ancora se lo sono autodiagnosticato grazie alle notizie frammentarie provenienti da amici, conoscenti, internet etc.

Si potrebbe quasi dire che l’attacco di panico è la patologia di questi anni. Un po’ come era avvenuto per l’isteria tra fine ‘800 e inizio ‘900. Infatti, le patologie, soprattutto quando parliamo dell’area psichica, rappresentano un riflesso della cultura, del pensare comune e del periodo storico in cui si manifestano. Così come l’isteria era una patologia che metteva in scena sul corpo tutta una serie di vissuti emotivi inaccettabili per la società del tempo e quindi per la coscienza dell’individuo (per un approfondimento si rimanda all’articolo sull’Isteria della rivista di aprile), così nell’attacco di panico, i black out incontrollabili cui l’individuo va incontro rappresentano dei segnali che la nostra mente, attraverso il nostro corpo, ci manda, per segnalarci che qualcosa non sta funzionando come dovrebbe. 

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Legami Di Attaccamento
Oltre l’amore di un padre

Alla Ricerca della Felicità – Film (2006)

Il concetto di attaccamento è sinonimo di cure, sicurezza e amore.

È la relazione, a cui siamo spinti sin dalla nascita da tendenze biologiche ed innate, che istauriamo con una figura di accudimento primario, definita caregiver (“che dà cure”). Il ruolo preferenziale di caregiving nella relazione con il bambino è culturalmente e biologicamente affidato alla mamma, che segue il suo piccolo nella crescita e favorisce lo sviluppo di una personalità “sana” ponendosi come “base sicura” e rispondendo in maniera “sufficientemente buona”  ai suoi bisogni. La mamma è colei che dà cibo e amore ed è, banalmente oppure no, il primo punto di riferimento del bambino.

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Intelligenza e cultura. Quale rapporto?

“Ma come non conosci A Silvia di Leopardi? E il 5 Maggio di Manzoni?”

“Ma come non riesci a risolvere un equazione di primo grado? E una proporzione?”

Credo sia superfluo chiedervi quale delle due domande vi è capitato più volte di fare o di sentirvi rivolgere. Sarà che viviamo nel Paese natale di tanti celebri poeti, scrittori, artisti e uomini di cultura. Sarà forse per questo che spesso non essere a conoscenza di un argomento letterario viene considerato indice di ignoranza e motivo di critica, mentre al contrario non sapere come risolvere un quesito di algebra, matematica o geometria viene ritenuto un fatto normale, ascrivibile all’area delle attitudini e dei limiti personali. La letteratura fa parte della cultura, la matematica forse no, secondo il pensiero comune.

Ma cosa significa essere una persona di cultura e qual è la differenza tra una persona di cultura e una persona intelligente?

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Bulimia Nervosa. Una fame da bue

Dopo la pubblicazione del mio ultimo articolo uscito su questo sito nel mese di Maggio, dal titolo Anoressia. Tra narcisismo e conflitti interiori ho riflettuto molto sulle somiglianza e le enormi differenze tra i vari disturbi alimentari, in questo caso tra Anoressia e Bulimia Nervosa. Queste due patologie vengono spesso confuse l’una con l’altra e da questo nasce il mio bisogno di fare chiarezza e ordine in un mondo caratterizzato da caos e confusione.

…E poi invece c’è lei… Valentina, una ragazza di 20 anni, molto bella, con un fisico asciutto, ama correre all’aperto, odia la solitudine e per questo si è circondata di tante persone con le quali è riuscita a costruire un legame amicale. Ama gli aperitivi con le amiche, si ritrova spesso nei bar a mangiare noccioline mentre sorseggia con gusto uno spriz. La sua vita sentimentale  non è chiara e definita, intrattiene rapporti e relazioni sessuali promiscue e impulsive che la portano ad avere uno sfrenato bisogno di conferme e per questo tende ad accumulare tanti, troppi partner sessuali.

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Il boomerang delle emozioni. Viverle o evitarle.

Il bacio, Hayez 1859 – Pinacoteca di Brera

Antonino Ferro spiega come l’evitamento delle emozioni sia un’attività principale delle nostre menti, sia di quelle patologiche che di quelle ben funzionanti. Egli parla di proto-emozioni, ovvero primitivi dati sensoriali che in alcuni casi vengono raccolti, contenuti e trasformati in emozione, in altri casi, essendo in esubero, vengono evacuati. Secondo Ferro, però, quando una modalità di evacuazione prevale nettamente sulle altre diventa un sintomo. Per fare alcuni esempi: vi sono meccanismi evacuativi di proiezione all’esterno che danno vita a fenomeni come paranoia, schizofrenie e allucinazioni; meccanismi di evacuazione nel corpo che danno vita a malattie psicosomatiche. Se la strategia è quella dell’evitamento degli stati proto-emotivi si ha l’ossessività; se la strategia è il controllo, l’ipocondria. Insomma, vi è tutta una serie di attività evacuative della nostra mente che sono vitali e la differenza fra funzionalità e patologia risiede nella modalità e nell’intensità con cui questo processo viene affrontato. Alcune persone non vivono passioni brucianti e si spengono nella routine, nella ripetitività, nella noia, pur di tenere un basso profilo di emozioni circolanti. Le emozioni non vissute possono generare in seguito paura, insicurezza e persecuzione. Se è vero però che un’attività della nostra mente è quella di difenderci dalle emozioni, è anche vero che vi è un’altra funzione che cerca di ricontattare quanto viene espulso, segregato o comunque messo a distanza.

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Disturbo Schizoide di Personalità

Guardando il mondo da un oblò: Quella lente che protegge

E’ stato come un lampo: mi trovavo nel bagno di casa mia, spazzolino in mano pronto all’uso, tutta intenta a riflettere sulla personalità schizoide. In una parola, stavo provando a  figurarmela nella sua essenza.  D’ un tratto, a fare capolino fra i miei pensieri si fa prepotente un’ immagine, che mi appare subito come molto nitida: quello “che vedo” è un oblò. Penso che forse è appartenente ad una nave di grandi dimensioni che in quel momento sta viaggiando indisturbata in mezzo al mare, tant’ è che oltre l’oblò ciò che si scorge è solo uno sconfinato tappeto d’acqua blu. Un istante dopo, quel che ho pensato di riflesso è stato che, evidentemente , mi ero già abbondantemente calata nel panorama schizoide, presa com’ero stata da quella semplice immagine mentale così insistente, e da cui tutta la mia fantasia si era sentita alimentata, prendendo così sempre più forma.

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Transessualismo. Rinascere me stesso

Quando si parla di sessualità, identità di genere e orientamenti sessuali è molto comune imbattersi in discorsi confusionari, dati dalla scarsa conoscenza dell’argomento o della tendenza insita nell’uomo nel classificare e cercare di incasellare ogni cosa, anche i vissuti umani, in schemi prestabiliti. Se per una persona estranea ai fatti, tutti questi vissuti possono sembrare troppo caotici, immaginiamoci allora cosa potrà provare un bambino di 5 anni che scopre di avere degli attributi sessuali discordanti dalle proprie sensazioni. Nonostante le varie pressioni sociali che un bambino possa subire fin da piccolo, per cui l’azzurro e le macchinine sono per i bambini e il rosa e le bambole per le bambine, un infante scopre spontaneamente intorno ai 3 anni la differenza dei sessi, e di appartenere ad uno dei due. Talvolta può però capitare che il bambino non si riconosca con l’identità che il suo corpo ha deciso per lui, provocando un disagio psichico notevole nel bambino che aumenterà sempre di più con la maturazione sessuale e  l’adolescenza. 

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Stereotipi e Pregiudizi. Una Rosa se non si chiamasse Rosa

Blind

Il bancone della frutta e della verdura del mercato è un tripudio di colori in primavera: il rosso delle ciliegie insaporite dal sole, gli invitanti semi gialli dell’esotico frutto della passione, i peperoni verdi rossi e gialli, l’intenso rosa dell’anguria che sa di dissetante. In questo panorama di stimoli colorati e profumati una mamma ed il suo bambino passeggiano e fanno acquisti. Il bambino ha gli occhi sgranati, i canali sensoriali spalancati, merito di tutti quei colori, quegli odori, di tutte le parole nuove che sente. Continuamente chiede: “Cosa è quello? Che colore è questo? Cosa è un etto? Come si mangia quest’altro?” e la mamma pazientemente lo introduce al nome della frutta e degli ortaggi, alle unità di misura, ai nomi dei colori ed a tutti quei segni convenzionali che noi assegniamo alla realtà circostante attraverso il linguaggio.

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